A fine novembre ci sarà una nuova “Conferenza Nazionale della Scuola”. L’ultima si è svolta nel 1990. Negli ultimi mesi si è parlato spesso di una nuova partenza per la Scuola. Il prossimo anno, nelle intenzioni del Ministro e nelle aspirazioni di insegnanti, Dirigenti e del personale tutto dovrebbe avere un valore fondativo. Non essere cioè soltanto un ritorno alle vecchie consuetudini, ma un periodo caratterizzato da progettualità vivaci in grado di cambiare e innovare il mondo della scuola facendo leva su nuove risorse disponibili e su una forte partecipazione dal basso.
Prime tracce di questa nuova stagione sembrano potersi cogliere nel Piano Scuola Estate 2021, iniziativa che, come “ponte per un nuovo inizio”, ha cercato di concentrare e organizzare le ultime forze rimaste in un anno scolastico davvero complicato e faticoso per mettere in piedi attività, laboratori, progetti, corsi di potenziamento e recupero degli apprendimenti in aggiunta alle attività curricolari regolarmente concluse nel mese di giugno.
Risorse indubbiamente preziose, attivate però con grande fretta, in un momento in cui la lucidità di chi avrebbe potuto coglierne stimoli traducendoli in esperienze importanti e innovative non era certamente al massimo. Credo si sia fatto comunque molto anche in questa situazione di emergenza, ma penso che frutti migliori si potrebbero cogliere rendendo strutturali le misure di finanziamento e inaugurando con il prossimo novembre un periodo di riflessione davvero significativo.
Con più tempo a disposizione e certamente meno fretta si potrebbe davvero delineare un quadro di opportunità e iniziative da mettere a sistema. Insomma: ci sarebbe davvero l’opportunità di cambiare le cose. Forse non tutte, ma certamente una buona quantità. Ci sarebbe davvero la possibilità di attivare una partecipazione ampia di chi la scuola la vive ogni giorno buttando spesso “il cuore oltre l’ostacolo”.
Specialmente in questi mesi difficili, caratterizzati da un adattamento continuo della didattica a condizioni nuove e inattese, molte delle “forze buone” che sono motore di ogni scuola si sono spese in esercizi di immaginazione del futuro partendo dalle criticità, ma anche dalle opportunità che la pandemia ci ha mostrato. Come nel gioco della capsula del tempo si è immaginato di mettere via buoni propositi, buone iniziative, progetti da riproporre per dare nuova forma alla scuola o più semplicemente si è ragionato su cosa manca davvero per costruire una didattica capace di fotografare le esigenze educative dei nostri allievi. Io, come molti di voi, ho messo a punto tante idee da inserire nella mia capsula personale e sarebbe stato difficilissimo costruire una gerarchia fra esse.
Qualche settimana fa, però, una petizione di Change.org ha reso tutto irrimediabilmente più chiaro: fra le proposte che voglio fare mie ce n’è una più importante delle altre. Vorrei avere indietro la terza ora di Tecnologia alla scuola secondaria di primo grado. Uso questa espressione perché, come i colleghi in servizio da più anni certamente ricorderanno, c’è stato un tempo lontano (ma non troppo) in cui le ore della disciplina erano davvero tre: dalla Riforma Moratti in poi sono diventate due per fare spazio alla seconda lingua comunitaria. Il passaggio dalle tre alle due ore non mi ha riguardato come allievo, avendo frequentato le vecchie “scuole medie” alla fine degli anni Ottanta e devo dire che non mi ha neppure mai particolarmente preoccupato come docente in ruolo fino a oggi, anche se la battaglia che ha portato a proporre il sondaggio non è certamente nuova dal punto di vista sindacale.
Il motivo per cui ho deciso di farla mia è legato strettamente a come sono cambiate le condizioni in pochissimo tempo e a come in questo quadro mutato quell’ora di lezione in più potrebbe davvero diventare uno spazio educativo importantissimo. Due ragioni in particolare mi hanno convinto. La prima: potrebbe essere un potenziamento importantissimo per una disciplina che sta letteralmente “esplodendo” nei contenuti disciplinari e nelle programmazioni. Al racconto dei processi produttivi e al disegno tecnico si sommano oggi questioni fondamentali sollevate da vere e proprie emergenze educative.
Un esempio importante è certamente la necessità di educare i ragazzi a un uso consapevole dei media: gli episodi di provvedimenti disciplinari legati alla cattiva gestione di un dispositivo da parte degli allievi non si contano e la Dad ha messo in luce quanta necessità ci sia di saper comunicare utilizzando media digitali. Possiamo pensare che iniziative come il “patentino dello smartphone” esauriscano un discorso così complesso come quello della cittadinanza digitale? Il docente individuato per affrontare questi temi è spesso quello di Tecnologia.
Altro esempio di allargamento dei confini della disciplina riguarda certamente la robotica. Quando uscirono le nuove indicazioni per il curricolo del 2012 a molti sembrò un azzardo inserire questo tema fra i traguardi attesi. Oggi i kit acquistati dalle scuole con PON e altri fondi sono sempre di più e molti istituti hanno laboratori dedicati o stampanti 3D da incardinare nella didattica come strumenti utili. I corsi di coding per docenti e studenti sono diventati una costante nei piani di formazione poiché la sensibilità nei confronti del pensiero computazionale e delle discipline STEM è decisamente più forte di dieci anni fa.
A ogni docente di Tecnologia è chiaro che tutte queste cose contribuiranno in modo determinante a orientare il futuro professionale degli allievi di oggi: come è possibile però farle rientrare nella pratica di laboratorio senza sacrificare lezioni di disegno tecnico? Perché se è certamente immaginabile un diverso racconto dei processi produttivi che contribuiscono alla cosiddetta “Industria 4.0”, non è altrettanto pensabile trasferire nella pratica alcune esperienze significative senza avere materialmente il tempo per farlo.
La seconda ragione che introduco per argomentare la mia scelta di campo a favore della terza ora tocca un tema tanto richiamato, ma purtroppo poco praticato: la trasversalità disciplinare. La terza ora potrebbe essere infatti nuovamente introdotta attraverso una compresenza che favorirebbe non soltanto uno scambio fruttuoso e una buona collaborazione fra colleghi, ma anche quella sana costruzione di pensiero critico che avviene ogni volta che si rompono gli argini disciplinari.
In un’ora di compresenza i docenti non sono più soltanto custodi della propria disciplina, ma cittadini consapevoli che si confrontano fra pari su temi strategici. Esempio importantissimo di tema da affrontare in situazioni simili riguarda la sostenibilità, anch’essa richiamata fra i temi centrali per l’insegnamento della Tecnologia nelle “nuove indicazioni” del 2012.
L’attenzione alle risorse e all’ambiente mette davanti a riflessioni importanti e complesse che toccano le radici stesse dell’insegnamento della disciplina: banalmente il racconto di petrolio, cemento armato e plastica durante le lezioni non potrà e non dovrà essere mai più lo stesso e l’elenco di temi al centro di questo rinnovamento narrativo non può certamente dirsi esaurito. Se però si vorrà cogliere il richiamo dell’Agenda 2030 e intercettare non solo la dimensione ambientale, ma anche quella economica e sociale della sostenibilità con esperienze autentiche finalizzate davvero alla costruzione di una cittadinanza attiva, dove si troverà il tempo?
Con i compagni di viaggio giusti tutto si può fare: i 17 obiettivi suggeriscono collaborazioni interessanti con i colleghi di tutte le discipline. Collaborazioni che, con la necessità di valutare l’educazione civica in modo traversale al Consiglio di Classe, potrebbero trovare una naturale collocazione proprio nella condivisione di questa ora aggiuntiva. Perché se è vero che la Tecnologia è la pratica di trasformazione consapevole del pianeta nel rispetto delle sue risorse, guardando alle generazioni future questa è una responsabilità che possiamo certamente pensare di assumerci.