La parola difficile di oggi è inglese ed è la prima che vi propongo con un significato profondamente negativo. Si tratta di greenwashing: ovviamente, come tutte le parole che iniziano con green, ha a che fare con la grande ondata di nuova sensibilità ai temi ambientali che ci ha travolti. La prima curiosità che fa nascere riguarda proprio l’uso dell’inglese: non esiste un modo di intendere lo stesso concetto in italiano? E poi ovviamente qual è il suo significato? E perché il greenwashing ha a che fare con la tecnologia?
Le ragioni sono molte e probabilmente serviranno a riflettere su questo: molto spesso le buone idee e i nuovi modi di intendere il futuro hanno bisogno di tempo per diffondersi in modo autentico. Purtroppo, le bugie in questo caso non fanno arrossire per la vergogna e viaggiano molto più rapidamente: se non facciamo attenzione raggiungeranno il 2030 prima di noi.
COSA VUOL DIRE GREENWASHING?
Anche se verrebbe la tentazione di associare il significato di questa parola all’idea di un “risciacquo di panni” in chiave ambientalista, la vera traduzione del termine ha a che fare con un gioco di parole piuttosto sofisticato. Il verbo “to whitewash” è letteralmente traducibile con “imbiancare a calce”, “dare il bianco” e può essere utilizzato in inglese per descrivere in modo metaforico un atteggiamento ipocrita, finalizzato a nascondere una realtà che potrebbe non piacere o generare una brutta reputazione.

Sostituire il bianco con il verde serve in questo caso a inquadrare chi usa in maniera maliziosa una retorica improntata alla sostenibilità per nascondere attività che potrebbero compromettere la buona reputazione di un’azienda dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente.
Purtroppo, questo modo di fare è ampiamente diffuso e riguarda in primo luogo la politica: non basta infatti dire che un insieme di interventi economici e di strategie di sviluppo è sostenibile per dare vita a un futuro con zero emissioni. È necessario immaginare strade concrete per raggiungere obiettivi ambiziosi e soprattutto stabilire regole chiare, per quanto rigide, per raggiungerli.
Ahinoi, la poca chiarezza è l’arma principale di chi pratica il greenwashing e gli scarsi controlli da parte delle istituzioni contribuiscono a completare un quadro che rende sempre più difficile per i consumatori scegliere con consapevolezza.
TECNOLOGIA E GREENWASHING
Quali sono gli atteggiamenti a cui prestare attenzione per non cadere nei tranelli del greenwashing? Vediamo alcuni esempi che toccano da vicino la disciplina che insegniamo con una consapevolezza sempre più grande. Ci salveranno solo il rigore nell’applicazione delle regole e l’esercizio del senso critico. Ecco sette buone pratiche utili in questo senso:
1. Non si accettano compromessi: in questa prima categoria si celano tutti quegli atteggiamenti che descrivono un prodotto o una tecnologia esaltandone un aspetto “green” per nasconderne criticità a elevato impatto. Per esempio, produrre un tessuto da fibre biologiche provenienti da coltivazioni prive di pesticidi può essere estremamente impattante perché prevede alti consumi di acqua.
2. Non si assolve per mancanza di prove: alcuni prodotti o tecnologie sono amici dell’ambiente semplicemente perché non ci sono dati per provare il contrario. Alcuni materiali possono ad esempio essere di origine “naturale” come il legno, ma se non se ne certifica la provenienza è estremamente difficile stabilirne l’impronta ecologica.
3. Attenzione allo storytelling: alcuni termini troppo vaghi possono far intendere che un prodotto è “green” proprio perché si fraintendono facilmente. Chiamiamo in causa sempre il termine “naturale”, ma il ragionamento può valere anche per altre parole… Ciò che viene dalla natura non è necessariamente sempre anche non inquinante: certi elementi chimici, infatti, possono essere contaminanti pur essendo disponibili come risorse del pianeta.
4. Non fermarsi alle apparenze: il packaging a volte viene studiato per illudere i consumatori di atteggiamenti virtuosi che poi non si riscontrano concretamente nella politica aziendale o nell’impatto del prodotto sull’ambiente. Le etichette di flaconi in plastica che utilizzano un linguaggio eco-friendly sono quasi la regola sullo scaffale del supermercato.

5. Non tutte le informazioni sono davvero utili: alcuni dati vengono comunicati in modo accessorio, solo per colpire la sensibilità ambientale delle persone e in alcune occasioni si mostrano irrilevanti. Quando un’azienda sponsorizza prodotti sostenendo di non utilizzare un inquinante che è già stato proibito per legge per realizzarli, ad esempio.
6. Non si sceglie il male minore: in alcune occasioni un prodotto viene presentato come “green” solo perché ha meno svantaggi rispetto ad altri. Il settore automobilistico ha per esempio un impatto enorme sull’inquinamento atmosferico ma, nonostante ciò, alcune auto vengono presentate come eco friendly solo perché hanno un impatto inferiore sulle emissioni rispetto ad altre.
7. Non si dicono le bugie: in alcuni casi le informazioni fornite sono palesemente false e contraffatte. Per esempio se si dichiara che un prodotto è “carbon free” non si può essere approssimativi: è necessario davvero aver utilizzato strategia che compensano o inibiscono la produzione di diossido di carbonio necessaria alla filiera produttiva.