Educazione civica: a cosa potremmo rinunciare
Durante lo scorso complicatissimo anno scolastico l’Educazione Civica è formalmente ricomparsa fra le materie di scuola. I temi di cittadinanza attiva, prima compresi nella programmazione curricolare o affrontati con attività progettuali, hanno trovato nuova collocazione sul registro di classe e concorrono a definire la valutazione in sede di scrutinio. Dopo aver trascorso il primo periodo didattico a immaginare curricula, nominare coordinatori, comprendere quale ruolo ciascun membro del consiglio di classe avrebbe potuto giocare nella trasversalità prevista dalla legge per questo nuovo insegnamento, finalmente si è passati al lavoro sul campo. Cosa abbiamo davvero portato in classe in questo primo anno, forse un po’ improvvisato e ormai concluso? Tante cose.
A volte abbiamo semplicemente messo un nuovo cappello a contenuti su cui lavoriamo da molto tempo o abbiamo ripreso cose passate, mentre in altre occasioni abbiamo ritrovato fruttuose compresenze appoggiandoci all’organico dell’autonomia. Abbiamo anche dedicato tempo a costruire esperienze didattiche nuove, riflettendo sul significato che l’idea di cittadinanza sta assumendo in questa fase di transizione o necessaria trasformazione del mondo. Riconosco il mio modo di stare in classe in tutti questi diversi approcci e, sulla soglia di questo nuovo anno, sento il bisogno di fare una riflessione meno superficiale e affrettata su come ritengo sia necessario portarli avanti. Anche compiendo qualche necessaria rinuncia rispetto ai “modi”.
Per esempio, sono certo di non voler più lavorare sul tema delle cosiddette buone pratiche. Provo a spiegare meglio quella che potrebbe sembrare una posizione estrema: penso che un certo modo di raccontare il senso civico partendo dagli esempi virtuosi abbia fatto il suo tempo concludendo una prima fase di lavoro da cui le scuole non si sono mai sottratte. Anche quando il cappello dell’educazione civica non era necessario. In questo senso l’Agenda 21 è stata un riferimento fortissimo: dalla conferenza di Rio de Janeiro in avanti, infatti, molte azioni didattiche hanno tratto ispirazione dal celeberrimo capitolo 28 di quel prezioso documento, contribuendo a trasferire nella pratica ordinaria di tanti ragazzi e tante famiglie la straordinaria concretezza del “pensare globale, agire locale”.
La spinta fortissima che ha ricevuto la raccolta differenziata, iniziative come la colletta alimentare e “Mi illumino di meno”, la diffusione della cultura del risparmio energetico sono solo alcuni esempi di come la scuola abbia giocato un ruolo strategico con le parole, ma anche con il fare nel costruire comportamenti virtuosi che oggi sono quasi la normalità. Penso sia arrivato il momento di considerare tutto questo lavoro come un utile punto di partenza per poter cogliere altre sfide. Per poter traguardare nuove idee di cittadinanza futura.

L’Agenda 2030: istruire i problemi per comprendere i traguardi
Nell’ultimo anno abbiamo assistito a un vero e proprio passaggio di testimone: l’Agenda 2030 è stata introdotta a pieno titolo proponendo idee e stimoli totalmente nuovi rispetto a quelli contenuti nella 21. I 17 obiettivi condivisi dalla Nazioni Unite sono diventati un riferimento forte anche per la didattica, una raccolta di spunti in qualche modo profondamente diversa da prima: ciascun obiettivo è articolato in una pars destruens che riporta “fatti e cifre” delle criticità osservate e in una pars costruens che mostra i traguardi ambiziosi a cui tendere. Sullo sfondo, una nuova idea di sostenibilità non più solamente ambientale, ma anche economica e sociale. Insomma: l’azione locale sembra dover trovare una cornice globale non solo in ricadute intese a più ampio spettro, ma anche nelle ambizioni di partenza.

Una nuova ispirazione sembra attraversare il documento: la lotta alle disuguaglianze. Si abbandona la retorica delle azioni virtuose “nel mio piccolo” e si abbraccia una consapevolezza delle urgenze dei problemi a scala planetaria come misura dell’autorevolezza politica. Questo nuovo stile impone quindi un approccio diverso, se lo si vuole portare in aula senza perderne l’ispirazione. L’attenzione si sposta alla diffusione della consapevolezza più che di buoni comportamenti: insegnare a riconoscere, destrutturare e ricomporre problemi più che mostrare soluzioni. Costruire sensibilità sull’urgenza di trovare progettualità future che sappiano proporre strade nuove per affrontare la crisi. Una delle più grandi lezioni della pandemia è certamente che il tempo non è un problema, se si abbattono le barriere di parte in nome dell’interesse collettivo.
La crescita urbana e il consumo di suolo: nella pancia del mostro
Uno dei temi su cui l’Agenda 21 ha mostrato meno la propria capacità di diffondere azioni virtuose è certamente la crescita incontrollata sul territorio del fenomeno urbano. Il consumo di suolo è un problema sempre più grave e la dispersione insediativa un fenomeno a cui soltanto le diverse fasi della crisi economica hanno potuto mettere un drastico argine. Di cosa si tratta? Intorno ai nuclei storici sono cresciute a macchia d’olio grandi periferie che, grazie a collegamenti infrastrutturali sempre più fitti, hanno trasformato il territorio in una rete di città.
Tutto questo non è successo soltanto nelle metropoli, ma anche ai centri medi e piccoli. Oltre alle aree metropolitane, possiamo quindi riconoscere metropoli diffuse simili a costellazioni di città. La dispersione insediativa appare come una vera e propria “esplosione urbana” che porta con sé diverse criticità: l’aumento dell’impermeabilizzazione del suolo, la riduzione progressiva degli spazi verdi, il peggioramento della qualità dell’aria, il consumo di suolo. Insomma: la crescita incontrollata delle città provoca alla scala locale problemi che contribuiscono a peggiorare la qualità dell’abitare e alla scala globale influisce in modo determinante sul cambiamento climatico in atto.

È evidente che le azioni virtuose da intraprendere singolarmente per invertire la tendenza riguardano il riuso del patrimonio edilizio esistente, la progressiva rinuncia a interventi di edilizia nuova, l’impiego di tecnologie a basso impatto ambientale che favoriscono il risparmio energetico: decisioni individuali che possono essere prese consapevolmente soltanto dando corpo a politiche urbane inserite in scenari futuri votati alla sostenibilità. Costruire questo tipo di sensibilità e diffonderla non sarà però come mostrare il giusto contenitore in cui buttare l’imballaggio della merenda: è necessario, in primo luogo, trovare il giusto modo di rendere evidente il problema a monte. Osservare il fenomeno da terra è infatti difficilissimo: la città cresce intorno a noi e anche se il suolo agricolo scompare al ritmo di 15 ettari al giorno non è scontato trovare un modo efficace per rappresentarne le ricadute. Il mostro è vorace, fa paura… ma non riusciamo a vederlo davvero: siamo dentro di lui.
Una proposta operativa
Un buon modo per raccontare ai nostri allievi come è fatto il mostro è stato reso disponibile recentemente sull’applicazione Google Earth. La funzione Time- Lapse permette infatti di visualizzare una sezione di immagini in sequenza dedicate alla crescita urbana attraverso nove casi studio che consentono di identificare in modo chiaro alcuni problemi.
Mostrandole ai nostri allievi, risulterà facile evidenziare come la crescita rapida di Las Vegas e l’urbanizzazione delle città circostanti dal 1985 a oggi abbia contribuito a modificare sensibilmente il livello dell’acqua del lago Mead, che fornisce attualmente il 90% dell’acqua potabile di questo vasto territorio. Atrettanto chiara sarà l’erosione delle risorse naturali e agricole intorno a Dallas che in poco tempo è diventata la quarta metropoli degli USA per dimensioni, diminuendo la qualità dell’aria e incrementando la propria fame di energia. Seul mostra invece gli effetti di un aumento progressivo della propria densità edilizia in verticale mentre Shangai si è praticamente fusa con le realtà urbane circostanti dando corpo a un’unica grande città continua. San Paolo e Lagos diventano un modo per visualizzare le disuguaglianze attraverso la crescita di favelas e baraccopoli, Parigi e Palm Islands offrono un possibile confronto fra diverse velocità di crescita favorite da dinamiche completamente diverse. Singapore mostra in controtendenza un’interessante fenomeno di espansione degli spazi verdi, nonostante le disparità e l’alto costo della vita.

Sarà possibile però riportare il discorso alla scala locale evidenziando il problema sul nostro territorio? In attesa di un aggiornamento di questa nuova interessantissima applicazione coinvolgiamo i nostri allievi in una ricerca di cartografie storiche delle nostre città. Portando tutto alla giusta scala sarà possibile far colorare le aree occupate dalle città e confrontare attraverso sovrapposizioni digitali o su fogli trasparenti le diverse fasi di espansione. Un modo interessante di mostrare il vero volto del mostro, ma anche di formare la cittadinanza del futuro. Una stategia didattica per tratteggiare idee divergenti di crescita in modo certamente ingenuo, ma per nulla superficiale e avviare dibattiti dagli esiti per nulla scontati.