Cattive abitudini
Con le nuove indicazioni per il curricolo del 2012 il disegno tecnico ha definitivamente smesso di essere un saper fare. Anche se non tutti si rassegnano: far passare l’idea che il traguardo fondante della disciplina non sia meramente l’esecuzione grafica, ma un apprendimento in situazione della geometria è tutt’altro che semplice.
C’è di peggio… Troppo spesso “la bella mano” viene ancora considerata un dono da valorizzare preferito alle capacità logiche, facendo mancare un lavoro importante sull’intreccio fra questi due aspetti. Un punto di partenza fondamentale per riconoscere definitivamente il disegno tecnico come disciplina stem? Condividere l’idea che in questa disciplina si può imparare a essere bravi. Non solo attraverso l’esercizio e la ripetizione: nella cornice sempre più stretta delle due ore il tempo per queste pratiche semplicemente manca… e in alcuni casi non sarebbero neppure risolutive.
Non solo motricità fine
Alla secondaria di primo grado i ragazzi subiscono trasformazioni fisiche molto importanti. Immaginare che una pratica come quella del disegno tecnico, che coinvolge in modo così determinante la coordinazione occhio-mano, possa non essere modificata dal processo di crescita è davvero fuorviante. Aumenti di altezza e di peso producono cambiamenti che coinvolgono l’equilibrio e quindi, necessariamente, influiscono sul segno grafico degli allievi. Non solo: le stesse sperimentazioni spontanee che coinvolgono la calligrafia influiscono sul tratto e sulla manualità.
Il disegno tecnico realizzato con strumenti analogici è infatti uno straordinario modo per mettere alla prova quella che in pedagogia viene definita motricità fine. La mano, uno dei nostri primi strumenti di apprendimento, viene spinta a compiere operazioni sempre più precise e raffinate nell’ambito del tracciamento. Non sempre i risultati sono all’altezza delle aspettative, ma forse non è tutto… Uno dei più nobili motivi per cui si continua a insegnare il disegno tecnico è la sua utilità indiscutibile nello sviluppo di alcune competenze fondamentali per il pieno sviluppo di un essere umano: le abilità visuo-spaziali.
Percepire, riconoscere, misurare, rappresentare
Spesso se ne parla e se ne legge, specialmente quando compiliamo pdp, ma cos’è davvero e come coinvolge la disciplina che insegniamo? Con il termine si definisce la capacità di percepire, manipolare e rappresentare le informazioni non linguistiche che provengono dal contesto in cui siamo immersi. Si tratta quindi di strumenti essenziali per svolgere comuni attività come disegnare e scrivere (anche copiando), memorizzare e riconoscere forme e informazioni, allineare numeri, lettere, oggetti, orientarsi a piedi e guidando, decifrare simboli, lettere, numeri. Le abilità visuo-spaziali sono basate su processi di apprendimento che coinvolgono attenzione, memoria, ragionamento e immaginazione e possono essere allenate… anche grazie al disegno tecnico.
Come? Durante la scuola secondaria di primo grado si comincia a maturare la consapevolezza che rappresentare lo spazio non significa soltanto coinvolgere la sfera percettiva e forme di rappresentazione immediate: si può acquisire la capacità di misurarlo e di riprodurne modelli sempre più “esatti”. In questo senso il disegno tecnico è uno strumento didattico straordinario poiché propone degli esercizi sempre più sofisticati di coordinazione fra mano e occhio finalizzati alla rappresentazione della terza dimensione in cui i nostri sensi si appropriano gradualmente della geometria passando dall’astrazione alla concretezza. In un momento estremamente delicato dello sviluppo neurologico, le forme e le figure smettono di essere semplicemente riconosciute come una specie di lessico di base, ma iniziano a essere manipolate per descrivere il mondo operativamente.
Insomma: diventare bravi nel disegno tecnico non serve solo a imparare costruzioni a memoria e non ha certamente a che fare col saper realizzare tavole pulitissime di cui non si capisce il senso copiando procedure dalla lavagna o da un libro di testo. Serve a saper usare le proprie mani come strumenti per conoscere, riconoscere e interpretare schemi complessi, a leggere una mappa, a “vedere” il futuro di uno spazio piccolo o grande, chiuso o aperto, a favorire uno sviluppo neurologico equilibrato nella fase di passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Per questo è importante non smettere di farlo, ma indubbiamente ponendolo nella giusta prospettiva.
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